martedì 28 settembre 2010

Bones 6x01 - The Mastodon in the Room


Ammetto di non amare particolarmente i procedurali, li trovo noiosi, ripetitivi, senza una minima trama di fondo che possa avere un minimo di interesse. Non riuscirò mai a capire come tutti questi polizieschi riescano ad avere così successo in America, mentre serie innovative e molto più interessanti vengano cancellate dopo pochi episodi. Bones invece, almeno per me, non ha mai fatto parte di quella categoria. Nell’ultima puntata avevamo visto il nostro gruppo dividersi per un anno: infatti Brennan partiva con Daisy verso le isole Maluku in cerca di scoperte antropologiche rivoluzionarie, Booth partiva per l’Afghanistan per addestrare nuovi soldati, Hodgins e Angela, finalmente tornati assieme, partono per la Francia, Sweets, amareggiato per la partenza di Daisy, si prende un anno sabatico, mentre l’unica a restare a Washington è Cam. Ed è proprio per lei che la squadra si dovrà riunire dopo sette mesi. Infatti le cose per lei non vanno molto bene, ha iniziato una sorta di crociata personale con una ricerca sui danni cerebrali riportati dai veterani di guerra e la cosa non piace ai piani alti dell’FBI, che, per non creare scandali la vogliono licenziare dal lavoro di coroner per incapacità: non riesce infatti ad identificare l’identità di un cadavere a causa dell’inefficienza del suo nuovo staff e viene per questo costantemente bersagliata da giornalisti e dall’opinione pubblica, che vuole sapere se il corpo sia del piccolo Logan Bartlett. Così Miss Julian decide di richiamare tutti i componenti del team per cercare aiuto, nonostante manchino ancora quattro mesi al loro ritorno. Così vediamo Bones e Daisy, che dopo sette mesi, non hanno ottenuto alcun risultato, se non quello di attirare criminali, mentre Booth non è affatto soddisfatto di quello che sta facendo, soprattutto quando salva un bambino appena rapito, e non può fare a meno di pensare a suo figlio, Parker. Così tutti decidono di tornare, e come si erano promessi subito prima della partenza, Booth e Brennan si incontrano nel luogo che avevano scelto. Qui, mentre discutono delle loro rispettive avventure, il poliziotto mostra la foto della sua nuova ragazza, una certa Hannah. Quando tutta la squadra si riunisce vediamo come il laboratorio non sia più al Jeffersonian, ma si sia spostato in uno scantinato squallido e mal ridotto. Inizia così l’indagine che ci porta a scoprire che l’identità del bambino è diversa da quella che ci si aspettava: non si tratta infatti del piccolo Logan, ma di un bambino asiatico. Dopo la solita indagine fatta di intuizioni basate sul ritrovamento di prove, scopriamo che il bambino in realtà non sia stato ucciso, ma sia morto a causa di un incidente e seppellito dalla madre, una Nord Coreana, che aveva paura della polizia. Questo però non ci dice che fine abbia fatto il piccolo Logan, e quindi Booth decide di proseguire l’indagine, che lo porta a capire che in realtà il bambino è ancora vivo, ma è stato rapito dal padre più che altro per ferire la sua ex moglie. Quello che mi piace in Bones è che la trama in fin dei conti è solo un espediente per permettere ai personaggi di interagire: infatti sebbene il telefilm non mostri evidenti trame orizzontali, tranne se escludiamo la presenza di due serial killer che hanno impegnato più episodi nell’arco dei sei anni, quello che mantiene interessante l’arco narrativo è proprio il rapporto tra loro. E non parlo solo di Booth e Brennan: ok loro hanno questa relazione platonica che ormai va avanti dal primo episodio e ogni volta che sembra arrivato il loro momento, si torna subito indietro come nel centesimo episodio andato in onda lo scorso anno, ma è tutto il gruppo a fare la differenza. Come afferma Cam infatti all’inizio della puntata, quando sfoga verso Bones tutta la rabbia che ha verso di lei per aver rotto il gruppo sette mesi prima, e per aver quindi portato via “qualcosa di così bello”. Infatti è stata essenzialmente la sua decisione di partire per le isole Maluku a portare l’allontanamento del resto del gruppo. Per quanto riguarda gli altri personaggi ho apprezzato molto come sia stato trattato il rapporto tra Angela e Hodgins, soprattutto ora che lei aspetta un bambino: i due sono hanno finalmente raggiunto un punto di stabilità e decidono di rimanere negli States, nonostante sentano la mancanza della capitale europea, per permettere al futuro figlio di poter nascere negli Usa e all’entomologo di continuare a fare quello che adora, il suo lavoro. Booth invece mi è sembrato meno convincente del solito, soprattutto quando va a mostrare a tutti la foto della sua nuova ragazza, quando è stato sempre piuttosto restio in queste cose. E che sia ancora preso da Bones è evidente da subito, già da quando appena si vedono le chiede se abbia trovato qualcuno nei sette mesi passati, non certo la prima domanda che fai se non hai un minimo interesse. La nuova ragazza sarà solo un freno per le prossime, uhm, 10 puntate, tanto per aumentare un po’ la tensione sessuale tra i due protagonisti, sperando che questo sia l’anno buono (anche se ho seri dubbi al riguardo). Per quanto riguarda Sweets, è stato davvero divertente vederlo con il suo nuovo look suonare in bar di periferia, ma mi piace il fatto che resti sempre il solito tenero, piccolo e un po’ tonto strizzacervelli, ancora ferito dall’abbandono di Daisy. Ed è totalmente nel personaggio cercare di allontanarla, cosa razionalmente esatta, per poi ricadere tra le sue braccia alla prima occasione. Ho anche apprezzato come si siano ricordati degli assistenti di Brennan, che sono spariti tutti per motivazioni valide o esilaranti, ad eccezione di Wendall che spero resti più tempo possibile visto che era il mio preferito. Infine Cam è stata forse quella che ho preferito: la sua determinazione nel voler portare avanti una battaglia personale, la rabbia contro Brennan per aver lasciato tutto così su due piedi influenzando non solo il loro lavoro, ma anche la riuscita dei casi perché diciamolo, questa squadra è la migliore nel campo, cosa che viene sottolineata più volte, anche dal fatto che riescano i risolvere un caso in una giornata, mentre il team di inesperti in due mesi non aveva raccolto mezza prova . La conclusione poi è perfetta, la squadra è tornata al completo e quindi l’unità forense del Jeffersonian può riaprire, nonostante il loro vecchio laboratorio sia ora occupato dalla riproduzione di un Mammut (siamo sempre all’interno del più prestigioso museo/centro di ricerca degli States). La scena finale con tutti i membri del cast, Miss Julian compresa, che ricopre in questo episodio il ruolo di perno, colei che fa tornare tutti a casa, rappresenta quello che è il telefilm stesso. Questa è una premiere perfetta, dove si riprendono magistralmente gli sviluppi della scorsa stagione dandogli una conclusione. Non si tratta infatti di un semplice ritorno alla normalità, ma della scelta dei personaggi di riavere quello che è meglio per loro: infatti sono stati proprio quei mesi di lontananza a riportarli tutti al luogo di partenza, ma con una consapevolezza maggiore e una nuova maturità. Così si evidenzia uno sviluppo che in molte altre premiere dell’anno è stato difficile trovare. E il fatto che ci troviamo di fronte ad un procedurale ci fa capire come questo sia essenzialmente differente dagli altri: non solo è sempre capace di non annoiare proponendo casi spesso assurdi che riflettono la realtà, altri programmi televisioni, reality show, mantenendo a quel livello una estrema autoironia, ma è capace di trattare i suoi personaggi su un piano superiore, ponendoli vicini allo spettatore, e caratterizzandoli come una vera e proprio famiglia. Posso davvero dire che questo si che è un episodio

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